Il mistero del calzino spaiato

C’è una questione grave che non riesco mai a risolvere, è il mistero del calzino scomparso.
Per quanto mi impegni, e giuro lo faccio veramente, spesso e volentieri mi ritrovo con i calzini spaiati.
Non ho ancora scoperto come questo succeda, se scompaia in lavatrice, si nasconde nel cassetto oppure se lo mangia la tartaruga. Il fatto è che il conto non torna mai.
Il calzino fuggitivo a volte ritorna, quando ormai avevo perso le speranze e subito ne sparisce un altro. Forse giocano tutti quanti a nascondino e ovviamente a qualcuno tocca cuccare. E’ un problema diffuso, ed è uno dei misteri più misteriosamente misteriosi che inquietano il genere umano.
Ceste di calzini spaiati che, dico io, dicono tutti, pure se fossero andati a finire sotto il letto, dietro i mobili, in un altro bucato, dentro a una scarpa, prima o poi uscirebbero fuori e si riappaierebbero, e invece no: il secondo calzino scompare inghiottito da qualche entità astrale, scompare nel buco dell’ozono....e tentare di interrogare i miei animali domestici ?…magari ne sanno più di quanto possa immaginare.
Qualcuno dice che, lavati in bucati diversi, magari si tingono e uno non li riconosce più come coppia: niente di più falso. I calzini spaiati hanno fogge completamente diversi, e non credo che il bucato cambi loro anche la trama del tessuto, il modello e il disegno.
L’unica soluzione che ho trovato sarebbe quella di comprare tutti i calzini uguali, ma tutti tutti. Così non sarebbero più spaiati, solo ogni tanto qualcuno rimarrebbe da solo, per un po’ di tempo, ma almeno la mattina non impazzirei a vestirmi...

...ma il mistero non sarebbe comunque risolto.

domenica 20 dicembre 2009

Quanti calzini fanno un paio?



Come eseguire a mente un’operazione apparentemente impossibile? Come stupire gli amici con magici giochi di carte? C’è un segreto per risolvere velocemente un Sudoku? E per leggere il pensiero? Tutti, molto probabilmente, ci siamo posti una di queste domande, e tutti, certamente, sappiamo che le risposte ci obbligano a fare i conti con la matematica. La matematica è quella cosa, dice Eastaway, che «spesso ci fa sentire stupidi e anche un po’ arrabbiati», e alla fine ci porta a dire, con uno stizzito atteggiamento di rinuncia: «Ma, dopo tutto, chi se ne importa?». Questo libro, divertente, incalzante e istruttivo, lancia una sfida a tutti coloro che non si sentono portati per la matematica, una sfida che davvero vale la pena di raccogliere: dopo averlo letto, anche loro potranno dire che la ma tematica è interessante, creativa e bella.

mercoledì 16 dicembre 2009

Asciuga Calzini a controllo dinamico



Finalmente una Machina che mette la parola FINE al problema dei Calzini Bagnati!
Mediante un semplice Meccanismo Rotorio, i calzini, opportunamente infilati nell'apposito Supporto Rotante, vengono asciugati con un soffio d'aria Deumidificata.
L'Unità Centrale a emissione Fotonica consente un totale controllo dinamico, non solo per quanto riguarda la Velocità di Rotazione, ma anche in relazione all'Accelerazione Centripeta!
Come potreste farne a meno?
Notate (in basso a sinistra) la comoda Periferica di Controllo, per tenere sempre sott'occhio i semplici Parametri di Funzionamento della Macchina!
Funziona con 24 batterie Ricaribabili 1,2V. Con un unico cambio di batterie potete asciugare fino a 12 calzini!!!

Notizia Ansa: L'italia rivoltata come un calzino...


















Questa mattina all’alba il presidente dell’Italia Dei Valori Antonio Di Pietro è stato arrestato come mandante dell’attentato terroristico a Silvio Berlusconi. 
L’attacco è stato portato a segno da uno spettatore di AnnoZero militante di AlQaida: da mesi l’organizzazione facente capo a Francesco Guccini pianificava di far saltare in aria il Duomo di Milano. 
Nell’abitazione dell’ex magistrato è stato rivenuto un vero e proprio arsenale composto da una miniatura della Torre Eiffel, due gondole e una matrioska di fabbricazione russa che gli artificieri stanno tentando di disinnescare. 
I bodyguard di Berlusconi si sono insospettiti quando hanno notato che l’ordigno ne conteneva al suo interno un altro che ne conteneva un altro che ne conteneva un altro, nella tipica configurazione a grappolo. 
È polemica sulla mancata sicurezza. «Perché - domanda il direttore del Tg1 Minzolini - è stata ignorata la perizia psichiatrica effettuata nel 2006 da Berlusconi sui magistrati, già allora definiti ‘persone mentalmente disturbate’?». Il ministro Brunetta invita la sinistra a non fomentare un clima d’odio: «A mmerde, annatevene a morì ammazzate, ma ve la piantate de fomentà ‘sto clima d’odio?!». 
Gli fa eco La Russa, che ha più volte ribadito che i magistrati «Possono morire, possono morire!». E possono morire anche i detenuti. Di Pietro non sarà processato perché i processi, per garantire una maggiore sicurezza del premier, sono stati aboliti. 
Abolite anche le grandi opere, per evitare la proliferazione di miniature delle grandi opere. Giro di vite sulle tifoserie violente, sobillate dal Csm. Abolita quella dell’Inter (sono interisti 5 giudici togati su 16). Per Casini si tratta di un provvedimento eccessivo. Per Bonaiuti di un provvedimento necessario, dato che è stato abolito l’Inter, che odia il Milan anche se il Milan ama tutti. Abolita infine la Costituzione perché se inavvertitamente la appallottoli e la lanci in un occhio a qualcuno, come è capitato di fare a Calderoli, puoi fargli male.

mercoledì 4 novembre 2009

La morte è l'unica cosa seria della vita. E anche quella nemmeno troppo.





Un cimitero piccolo, scosceso, tutto in salita. Tutto verde e grigio. Verdi i cipressi, grigio il cielo basso, verde il prato, grigie le lapidi. Una zanzara flette le sue zampe sull'angolo di una croce.


La pioggia è nell'aria. E' quasi come se fosse già caduta. Il vento sempre più forte. Il vento è grigio, ovviamente. I cipressi non sono cipressi: sono giunchi. Sono fragilissimi, sono flessibili, sono impotenti. Il cielo è sempre più basso: tende il suo stomaco su quel quadrato di terra. Di quello che sta fuori non gli importa.
Vento, vento, vento. Venti le persone che su quel terreno in pendenza si inerpicano come capre in cerca di un masso salato da leccare. Tutti che cercano di avvicinarsi al cappotto di legno fiorito di un uomo che fino a pochi giorni fa aveva mangiato, parlato, pisciato e sofferto. E ora non più.
Da un lato il sacerdote nei suoi bellissimi paramenti: l'abito è bianco, la stola viola, che quando si tratta di funerali è la morte sua. Sputacchia qualche frase dalle fessure della sua dentiera, qualche frase su come quell'uomo che non conosce ha onorato una vita che non sa.
Ogni tanto lascia cadere qualche spruzzo di acquasanta su quei fiori lugubri che ben presto saranno, per fortuna, celati da un metro di terra. Il cielo lo imita e lascia cadere qualche goccia del suo profano carico di pioggia.
E poi: un ironico mulinello solleva l'abito liturgico e lascia vedere quei comunque mondi scarponcini di vernice nera che ogni sacerdote ha nel suo armadio. Scopre, però, anche dei non mondi calzini di spugna con una grechina rosa sul bordo superiore e un paio di decrepiti polpacci pelosi.
Una ragazza ridacchia e si cala meglio sul capo il suo cappello, fingendo di tossicchiare. Poi tace, si fa seria per un attimo...Poi scoppietta, sbuffa...Ridacchia ancora.
Poi basta. Poi ci si avvia all'uscita e si chiede:"Quanti esami gli mancano a tuo figlio?", "Hai visto qualche bel film al cinema?", "Uh, come si è fatto tardi! Cosa preparerò per cena!". E si va a casa, chè si è fatto tardi.
Perchè alla fine mangiare, parlare, pisciare e soffrire e poi non più è la morte, che poi è
la vita. Tantissimo di triste, ma niente di strano.
Tutto sommato quel giorno, il vento che ha sollevato la gonna al prete, l'ha detto a tutti, che si può ridere anche di quelle situazioni lì, con rispetto parlando.
Mi fa ridere che Vescovi, Papi e tutta quella gente rigorosamente dotata di pelosi polpacci profani appena qualche centimetro più su del bordo delle loro babbucce rosse, emani appelli di vita dopo aver emanato innumerevoli sentenze di morte.
E mi fa ridere che sempre loro, che a quanto pare preferiscono trattare il tema della morte per fame di una persona ridotta allo stato di un cactus, snobbando quelli che sempre di fame moriranno, ma potendo contarne i morsi uno ad uno, non si siano presi la briga nemmeno di controllare su un dizionario italiano il significato del termine "eutanasia"...No, non in quel librone nero là, Benny, che il vecchio testamento non è proprio aggiornatissimo...

Dimmi che calzini indossi e ti dirò chi sei

I calzini svolgono un ruolo molto importante nella vita d’ogni uomo, la carriera politica, professionale o le romantiche conquiste dipendono spesso da un paio di calzini ...
Una donna può scoprire molto sul suo uomo, osservando con più attenzione i suoi calzini.
I calzini sono
un accessorio non trascurabile dell'abbigliamento maschile, si pongono alla stessa stregua delle cravatte, orologi, gemelli per i polsini.
In effetti, un paio di calzini può dire molto sul carattere delle persone
:
- la maggior parte degli uomini razionali e pratici indossa calzini neri perché il nero è un colore universale che va bene su tutto;
- i conservatori che non accolgono favorevolmente cambiamenti nella loro vita, amano indossare calzini di colore grigio o marrone;
- i calzini color verde attrae i militari e quelli che simpatizzano o sono attivisti di Greenpeace;
-  i calzini color blu, indicano la natura romantica di un uomo;
- i calzini color bianco, è la  miglior scelta per gli uomini che amano lo sport, vanno in vacanza, indossano jeans o i pantaloncini corti. I calzini bianchi sono inammissibili quando s'indossano completi grigi o scuri.
I calzini rossi indicano un uomo che ha stile ma anche quello che li indossa per il gusto di indossarli senza seguire le mode.
I calzini  decorati con ornamenti vari, possono fornire ulteriori indizi caratteriali: figure geometriche a rombo o righe, indicano le caratteristiche di un uomo alla ricerca di una sistemazione stabile, forse un punto di partenza (evidentemente ancora non ha trovato la quadratura del calzino).
In conclusione per tutte/tutti quelli che s'imbarcano in possibili storie d'amore, ecco qualche indizio che può tornar utile: non sempre l'uomo che indossa calzini con disegni di fiori, piccoli soli e coniglietti, è un potenziale playboy, il più delle volte è semplicemente un uomo con un buon senso dell'umorismo.
Fonte : The life of a man depends on a pair of socks

Stralci di diario: un calzino in Abruzzo


4 giugno 2009
Andar via da Coppito…………………
quando proprio non vorresti, quando il tuo spirito ha deciso di tardare a raggiungerti...e allora lo lasci là...
tra la splendida coraggiosa gente con la quale hai scambiato la ricchezza dell’anima, la gratitudine;
tra gli alberi, sentinelle di quella collinetta verde del campo di Murata Gigotti dove rivedi giocare e correre i bimbi che ti hanno tenuto per mano in questi giorni;
negli occhi, nei sorrisi, negli abbracci, negli scherzi dei tanti volontari che danno instancabilmente;
che lasci nel clown che viene dopo di te.

Siamo partiti con la leggerezza nel cuore ma il timore di non essere all’altezza, di sbagliare o di fare poco o nulla ...appariva qua e là anche se cercavi di non farlo venir fuori.

E’ stato sorprendente anche per noi quando il clown, l’inadeguato..., è uscito fuori.
Col suo modo di fare, di essere, con la sua “buffosità”, con la sua stupidità potente e stupe-facente, in un quotidiano che non è più lo stesso e al quale tutti siamo legati.
Ora che l’attenzione mediatica si è impietosamente ridotta ci si è ritrovati in questo enorme campeggio blu che sembra appartenere ad un'altra dimensione.
Inutile perdere più di due giorni per cercare le parole che descrivano ciò che appare ai nostri occhi. Ci siam fermati ad una sola: Surreale.

Migliaia di abruzzesi dal giorno del terremoto dormono lontani dalle proprie case, molti non vogliono più tornaci in una casa. Chissà quanta la paura avvertita per far parlare così finanche omaccioni che nulla sembrerebbero dover temere…
Bimbi che sospendono ogni gioco al frusciar del vento e al picchettare della pioggia.

E allora via...presente...con i tuoi giochi inventati improvvisati richiesti mai apparsi inopportuni e accolti con un sorriso. Con i tuoi colori, con il tuo tacere, con la tua spalla, con le tue bolle che catturano anche gli sguardi più diffidenti e li trasformano sciogliendoli in magia, in musica, in emozioni...arrivando fino all’anima.
Un viso dagli occhi bagnati che fa su e giù mentre ci viene incontro e richiede un abbraccio, farà parte del nostro zaino, insieme a 1000 memorie, quando andremo via.

Come quella di Maria, che insieme alla figlia Valentina si aspettano la visita dei clown dottori nel loro giro tende, ci accoglie e continua a dirmi “non voglio parlarne...non voglio proprio parlarne” ma proprio in quel momento comincia a narrare ricordando lo “sciame”, sorpresi nel sonno e con il tuono del terremoto impresso nella mente.
Quel rumore sordo ha inghiottito, distrutto tutto quello che possedevano e li ha costretti in una casa blè, di tela.
E ancora quelle notti da sfollati, nelle macchine, intorno al fuoco a parlare, a consolarsi, a farsi coraggio.
Poi, dopo tutto questo, arriva finalmente il momento della lucidità e con essa il timore di un futuro instabile.
La gente abruzzese tutta, comincia a domandarsi che cosa succederà davvero domani, e domani?
E poi sempre presente la paura. Paura per le scosse che continuano, di giorno e di notte ma che è soprattutto paura di rimanere bloccati nelle tende, perché ogni scossa ti allontana ogni giorno di più, un po’ di più, dalla possibilità di ritornare a casa. Ogni nuova scossa crea nuova paura perché allarga il senso attuale della precarietà. Fa temere che non finirà più.

Dopo due mesi sono ancora negli accampamenti, otto persone per tenda. Spesso non appartengono nemmeno allo stesso nucleo familiare, e ci sono persino famiglie divise.
Una vita durissima.
Tra il freddo della sera e il caldo soffocante del giorno (quando si ringrazia “meno male che oggi non piove), campare sotto quei teli richiede pazienza. Come pazienti, fieri, dignitosi, silenziosi sono le persone d’Abruzzo. Pacati ma non rassegnati perché la vita continua.
Come tutti gli abruzzesi, ringraziano col cuore per la solidarietà di cui sono stati oggetto, per la vicinanza di tutti.

In tutto questo…il clown. A lui ci si affida, ci si confida, si chiede. Diventa la loro voce, la voce di molti...per narrare ciò che si ha dentro, per tirare fuori, per dire ciò che non vorrebbe essere chiesto. Ma a un clown tra scherzo, fiducia e soavità lo si permette.

E ci si sente, si diventa collante tra coloro che forti ma spersi hanno subito e vivono dentro mille timori, privati della loro “normalità” e i tanti angeli che provvedono per loro.
E lo fa smorzando, addolcendo le regole che si rendono necessarie(!?!) ma che avvolte stridono e graffiano chi ha già patito. Lui può permettersi di ammorbidirle un po’, anche solo con l’ascolto, riportando l’ilarità tra le fatiche e gli sforzi di tutti, ridipingendo i rapporti.
Avvolte bastano la conquista di un paio di scarpe, un vestito nero, di caramelle.
Un ponte, un collante, un mastice...tra le istituzioni, le organizzazioni e la gente...ecco cosa intendevano Leo e Lucia. Il mastice lo abbiamo sentito addosso.

Inizialmente solo gioco, leggerezza. Quella spensieratezza che ha permesso di esserci davvero, di scambiare, di reinventare, di ri-creare.
In un’atmosfera onirica dove non comprendi dove finisce il campeggio e inizia il disagio, dove non riesci a descrivere ciò che vedi, dove tutto è scomparso, tutto è stato portato spazzato via.
Dove noi tutti ci rendiamo conto di toccare qualcosa di prezioso, qualcosa che è emerso dalle macerie. Un grande faro che illumina di un’umanità profonda, vera, desiderosa di contatto. Un faro che abbaglia tutti.
Tutti hanno perso le barriere e sono tutti nudi uno di fronte all’atro. Pelle con pelle, dialogando senza parole.
Comprendo adesso perché in tanti vanno, perché altri restano e in molti ritornano. Si respira l’uomo...Ecco perché questo mal d’Abruzzo che portiamo dentro.

Viene in giorno che abbiamo cercato di fermare. Il passaggio di consegne prima di andar via.
Il giorno in cui vai via dicendo “Ciao”.
Con bimbi e adulti, si crea uno strano legame con loro e ci si sente una responsabilità addosso. In questi giorni si è lavorato sulla figura del clown. È lui che deve esserci non calzino o cianciana o sbrizza o mentuccia, non mascalzone o caciotta. Non quel clown ma il clown.
E’ come se ci fosse continuità tra chi va via e chi arriva, come se l’uno si dissolvesse nell’altro. Era stata nostra attenzione fa capire ai bimbi e adulti, che veloci si erano affidati a noi, che il nostro andar via non doveva essere vissuto con tristezza perché avrebbero conosciuto altri clown più di quanto noi stessi avessimo mai fatto.

Ho vissuto intensamente questo momento quando al campo di Coppito basso di fronte ad una numerosa ciurma di folli colorati che scendeva dalla clownmobile si son trovati i bimbi del campo intenti nei loro giochi. Alla presentazione dei nuovi arrivati: Bianchetto, Petronilla, Baracca e Muesli è partito un primo “no! non li voglio vedere neanche” di Luca e Simone che si rifugiavano tirandoci a loro. Sapevo divertito che non sarebbe durato molto. Tanto il lavoro prezioso fatto da chi ci ha preceduto da far comprendere a tutti quanto da scoprire vi sia in ogni clown da non resistere a frenare la curiosità nell’andarlo a scovare. Ha così risposto l’equipes intera, con il moscerino di muesli, seguita da Petronilla. E Bianchetto e Baracca che calamitavano gli sguardi proprio di Luca e Simone.

Un attimo e Valentina mi ruba il cappello per farmi restare. Ma poi scambia il suo broncio con il fiore che era attaccato al mio baschetto e mi dona in cambio un sorriso.

Io e Mentuccia felici e divertiti, facciamo un passo indietro come coloro che si muovono verso le quinte per lasciare spazio ad un nuovo atto.
Sembra proprio scorrere una porta di vetro satinato che ti porta via. Ancora un attimo per venire accalappiato da una collanina fatta da Jenny “
posso regalarti questa Calzino? L’ho fatta per te! – Davverooooo, per me? E’ bellissima grazie!...Questo è il mio primo naso rosso, tienilo tu. Grazie tesoro, davvero bellissima. Un bacio".
Quella porta adesso si richiude di nuovo ma sembra fatta di plasma...No...sono le mie lacrime...
Via...ehmm è...tardi.
In Macchina c’è una bella euforia per aver fatto breccia, io e Mentuccia viviamo in silenzio questo addio. Dietro un naso rosso c’è sempre l’uomo, che in questo momento non vorrebbe andar via e pianti e saluti sono difficili da mandar giù

Torniamo a casa ma il nostro pensiero si svolge come un’enorme gomitolo rosso il cui capo rimane impigliato al cancello del campo di Coppito.
Sul bus scorrono tutte le sequenze senza ordine di tempo fino arrivare a alle preoccupazioni di domani «ci voleva anche la pioggia ad accanirsi a giugno, prego che smetta».
Il silenzio ha accompagnato il nostro ritorno, adesso il surreale è fuori dalla terra abruzzese.
Ci si sente inadeguati, si sta male, si piange e ci si commuove. Vorresti essere lì. “Senti” il calore di quella luce che chiama. Da bravi clown riconosciamo le nostre emozioni, sbandiamo un po’, vogliamo starci per ritornare.
Ci si stringe, basta solo il silenzio per farsi coraggio. Momenti, ancora una volta, per ricordare.
Poi, dopo tutto questo, pian piano arriva finalmente il momento della chiarezza per il dono che portiamo dentro e la consapevolezza di voler tornare.

Oggi...dico grazie...perchè il desktop del mio computer non è più nero. Lo era da tempo, adesso splende di colori, di sorrisi, di gente, di una terra...che fa tremare dentro.

lunedì 2 novembre 2009

Calzini Sul Como' (ti amo ma non li trovo)



Nella ricerca di titoli da proporvi ho ritrovato uno dei 5 più esilaranti spettacoli di Japoco Fo.



La vita potrebbe essere meravigliosa se non ci fossero disastri sentimentali.
Non ci sarebbero neanche le  guerre.
Io mi sento di poter affrontare questo tema di fronte a una platea solo perché, modestamente, nel settore patimenti amorosi strazianti, notti insonni a piangere e a strapparsi i capelli e i peli delle ascelle, sono un'autorità internazionale.
Non avete mai provato a strapparvi i peli delle ascelle per la disperazione? Dovreste provare, è un'esperienza.
E in questo spettacolo ve lo dimostrerò. Ho delle cicatrici. Si, parecchie. E tutte zig zagate, perché così fa più male. Quando le hanno viste al pronto soccorso volevano farmi l'anestesia prima di ricucirmele. Ma io ho detto: "No. Il dolore fisico non è nulla." Subito dopo hanno iniziato a ricucirmi ed ho iniziato a urlare e ho chiesto se sull'anestesia potevo ripensarci. Anzi gli ho chiesto se potevano darmi tutta l'anestesia che avevano. E magari lanciare anche un allarme regionale per requisire quella di altri ospedali. Poi ho telefonato a un mio cugino che è della mafia e gli ho chiesto se mi faceva avere un po' di roba illegale.
Comunque in questo spettacolo non mi occuperò del dolore. Piuttosto di quelle domande trabocchetto tipo:
Ti sembro ingrassata?
Non sono domande, sono pistolettate alla schiena. Qualunque risposta io ti dia sono un uomo morto. Se dico di no mi rispondi: "Si vede che non mi guardi più!"
Se dico: "Sei ingrassata appena un pochino ma potresti fare un po' di ginnastica e torni subito in forma" sono un uomo finito e gli amici del bar parleranno di me al passato.
Comunque parlerò anche delle soluzioni.
Questo è uno spettacolo ottimista, in fin dei conti.
Ad esempio io ho riscontrato miglioramenti drastici quando ho scoperto che è inutile essere sinceri, onesti e coerenti, trattare le donne da uomo a uomo. Se tu semplicemente non hai voglia di andare all'Ikea e glielo dici lei, semplicemente, ha una caduta del desiderio sessuale che supera la caduta del muro di Berlino. Se invece fai oscenamente finta di essere entusiasta dei tavolini di sequoia olandese daltonica, rifiniti con olio di coccinella australiana lei poi ti fa il famoso Sorriso Ikea. E vi posso giurare che è meglio della caduta del muro di Berlino in tutti i sensi.
Jacopo Fo


Gli altri monologhi sono:
Lo zen e l'arte di fare l'amore (Tutto quello che ancora non sai di non sapere)
Ti amo ma il tuo braccio destro mi fa schifo, tagliatelo! (sulla stupidità umana e altre quisquiglie)
Anche le sogliole fingono l'orgasmo, figuriamoci il resto. (come usare l'intelligenza, o almeno fare finta)
La vera Storia del mondo (Conferenza spettacolo sui falsi e le censure dei libri di testo scolastici)
Perché gli italiani non capiscono le lampadine? (conferenza spettacolo sulle ecotecnologie).
Inoltre ha realizzato un recital dei suoi pezzi migliori dal titolo:
Quando fai sesso con gli elefanti non stare mai sotto.

Speriamo tutti in una replica al più presto

venerdì 30 ottobre 2009

Il teorema del calzino stravangante









Ore 16.00. caffè e sigaretta al bar di sotto.  Un uomo esce dal bar. Prende la bicicletta appoggiata al muro di fronte. Sale in sella.




L’occhio (il mio) finisce sulla caviglia (la sua) pronta per la prima pedalata.
Un calzino turchese fa capolino.
Non so se sia per tutta questa storia del calzino turchese del giudice Mesiano, il fatto che io l’abbia notato o che lui l’abbia indossato.
Fatto sta che, probabilmente, fino ad un paio di giorni fa quel pedalino (come affettuosamente lo chiamano i romani) non avrebbe destato interesse.
Oggi si. O meglio è già qualche giorno che il colore dei calzini del giudice Raimondo Mesiano, sbattuti “in prima pagina“, come si suol dire, sono divenuti simbolo di “stravaganza“.
Come il fatto che fumi tanto, del resto.
Chissà, magari calzini colorati e troppo fumo fanno male alla salute.
Sarà stato un avvertimento?
La storia del giudice Mesiano e dei suoi calzini la conoscono, penso, tutti.
Delle reazioni, anch’esse “stravaganti” del Leader del PD, Franceschini, ne parla il blog Akille.net, dei metodi poco “ortodossi” del “giornalismo d’inchiesta alla Mediaset” il blog Le Malvestite.
Intanto, l’autore del “fattaccio”, il giornalista Claudio Brachino, (conduttore di Mattino 5) si “scusa“.
Per farlo sceglie il giornale di famiglia. Quella di Berlusconi, ovviamente.
“Mesiano”, sostiene Brachino, ” è diventato un personaggio di pubblico dominio. In questo contesto ho deciso di trasmettere quelle immagini, per dare sostanza televisiva (ma ci crederà davvero a quello che dice?) a una figura di cui si leggeva e si sentiva parlare, ma di cui poco si era visto” (!!).
Le scuse di Brachino sembrano tanto “stravaganti” quanto il “pezzo di raro giornalismo” che ha mandato in onda e poi commentato.
Speriamo che d’ora in avanti, i giudici abbiano, la possibiltà di scegliere con serenità quali calzini indossare.
O passerò la vita ad osservare le caviglie di ignari passanti.

Libertà di calzino


21 ottobre 2009 

TOGHE IN MOBILITAZIONE - ALLE PORTE DI PUBBLICI MINISTERI E GIUDICI VOLANTINI DI SOLIDARIETÀ AL COLLEGA MILANESE «SPIATO»



«Libertà di calzino», i magistrati color turchese per una settimana.
Un colore, il turchese dei calzini assurto, «sulla spinta dell’incombente attualità degli ultimi giorni», a emblema cromatico della sfera personale, quella individuale, «della riservatezza, della privacy e dell’inviolabile identità del singolo»
«Un colore», il turchese dei calzini del giudice Mesiano «spiato» dalle telecamere di Mattino Cinque durante la sua «stravagante» passeggiata d’inizio giornata tra «stravaganti sigarette» e la «stravagante» attesa del proprio turno dal barbiere, che i magistrati hanno eletto a tinta-simbolo «per difendere la nostra dignità e la nostra indipendenza ».
Dice espressamente così, il volantino di protesta esposto agli usci delle toghe scaligere in questi giorni: «La toga nera rappresenta la pubblica funzione, i 'calzini turchesi' la sfera privata e in tangibile di ciascuno». 


Al di là dell’aspetto squisitamente stilistico alla categoria dei magistrati preme fare un richiamo su quella che dovrebbe rappresentare l’unica e autentica funzione della magistratura: ovvero garantire giustizia ai cittadini. Nulla a che fare, dunque, con il doversi difendere dagli attacchi pretestuosi, dalle polemiche strumentali, dalle critiche di stampo politico o dalle intrusioni nella sfera personale. «E’ ai cittadini che dobbiamo rispondere, a nessun altro». Lo stesso comandamento che campeggia anche alle porte dei magistrati dai rispettivi manifesti di protesta tinta turchese: perché «Noi - ricordano - siamo chiamati quotidianamente a prendere decisioni su casi semplici come su casi difficili, che incidono sulla libertà, sul patrimonio, sulla vita stessa delle persone...Ma a nessuno possono essere consentiti l’attacco e l’invasione della sfera privata della persona-magistrato, solo perché abbia emesso una decisione a taluno sgradita...» E se i suoi calzini sono rossi o azzurra, nulla deve importare. Tanto meno alle telecamere.

La confessione di calzino

  
Calzino: Mi perdoni padre perchè ho peccato...
Sacerdote: Dimmi i tuoi peccati figliuolo
Calzino: booooooooooooh!!!!
Sacerdote: come boh??
Calzino: non li so padre...
Sacerdote: come sarebbe a dire che non li sai??
Calzino: non so cosa sono i peccati..
Sacerdote: ma tu il catechismo l'hai mai fatto??
Calzino: si però quando spiegavano i peccati ero assente!
Sacerdote: mhm.. vabbè il peccato ragazzo mio è quella cosa che fa piangere Gesú capisci??
Calzino: si!
Cervello di calzino: no!
Calzino zitto tu!!
Sacerdote: come??
Calzino: no no scusi non parlavo con lei..
Sacerdote: e con chi parlavi?
Calzino: con... euhm.. con il mio angelo custode!!
Sacerdote: ah capisco...
Calzino: gh gh idiota!
Sacerdote: hai detto qualcosa??
Calzino: no no...
Sacerdote: bene, allora ora sai cos'è il peccato giusto?
Calzino: si è quella cosa che fa piangere Gesú
Sacerdote: bravo allora fammi un esempio di peccato
Calzino: ...
Sacerdote: ...
Calzino: la cipolla!!!
Sacerdote: LA CIPOLLA???
Calzino: SII LA CIPOLLA!!
Sacerdote: ma cosa c'entra la CIPOLLA ORA???
Calzino: la cipolla fa venire da piangere!!
Sacerdote: non c'entra, non è un peccato la cipolla vabbenee????
Calzino: ma perchè guardi che gli assicuro che io l'altrogiorno aiutavo il mio papà a tagliare la cipolla e...
Sacerdote: FINISCILA CON QUESTA CIPOLLAAAA!!
Calzino: ...
Sacerdote: ...
Calzino: lo shampo??
Sacerdote: BASTA FUORI DI QUI!!!!!
Calzino: Noooo aspetti guardi che io non parlo del Johnson's baby dico quelli smarzi che...
Sacerdote: HO DETTO FUORIIIIIIIIIIII E PER PENITENZA 455 AVE MARIA E 800 PADRE NOSTRO, E ORA FILA VIAAAI!!
Calzino: ma sigh...
Papà calza: allora com'è andata la confessione??
Calzino: lascia perdere papy sono un teologo incompreso..
Papà calza: ....????

La rivincita del calzino spaiato



E’ bello vedere come ci siano delle persone in grado di innovare e non rimanere sedute "a guardare la vita che passa".
Una di queste è Francesca Sanzo, attivissima mamma blogger che si è proposta, con un monologo, in uno spettacolo teatrale il 25 Febbraio al
Teatro della Rabbia (Bologna).
Francesca, conosciuta nella blogosfera come Panzallaria, racconta il lato b della vita e della maternità, tentando di smascherare in modo scanzonato le imperfezioni di chi rifiuta le sbavature e ha intrapreso una lotta senza quartiere contro gli aspetti più inquietanti e talebani dell’essere madre oggi.
Una trentenne che dà spazio alle proprie emozioni e, magari anche in modo irriverente, racconta le sue avventure comico-realistiche. Un blog che esce dal virtuale si svela agli occhi di un pubblico curioso.
L’onore di interpretare Panzallaria a teatro è di Anita Giovannini, attrice bolognese professionista, che ha dato maggior smalto agli aneddoti di Francesca.
Prima di lei, già Claudia de Lillo, la Nonsolomamma della rete, ha proposto al grande pubblico (attraverso un libro) la sua storia di mamma divisa tra lavoro, figli, marito e tutto il resto.
Stiamo assistendo alla rivoluzione delle mamme blogger?

Risveglio



Avvilita, ma ancora tua
la vita torna a insinuarsi
tra i viavai dei nocchieri
mille nuvole fuggono a Sud
il giorno
riemerso dal torpore
si ritrova le tasche imbottite di stelle
e un alone di brina sul colletto
c’è qualcosa di nuovo
e di usurato
nell’aria inevitabile del mattino
tu sei ancora lì
affranto ed indeciso
con un calzino in mano
e un sogno a metà strada
nel taschino

Libri: Nudo d’uomo con calzino di Giulia Blasi


«Ero esasperata, volevo un letto, una casa, un posto dove farlo in piedi, a pecora, a forbice, a spaccatigre, a rovescio, a sessantanove, ululando come un lupo, senza gli occhi di Padre Pio piantati nella schiena, i ricci sotto le ruote, i pipistrelli dentro i finestrini, le torce puntate sulle tette nude e la noia di una vita sessuale a smorzacandela». [da 'Nudo d'uomo con calzino']
Difetti e tic, manie e fobie tipiche degli uomini quando si apprestano a sedurre riportati in ‘Nudo d’uomo con calzino e altre imperdonabili gaffe del maschio sotto (e sopra) le lenzuola’ di Giulia Blasi, pubblicato recentemente da Einaudi.

Un’adorabile galleria di ritratti maschili, raccontata con voce graffiante e amorevole insieme. Un tragicomico carosello di storie che diventa una moderna educazione sentimentale per uomini disposti a ridere sulle proprie défaillance, e per donne disposte a mettersi in discussione e a insegnare ai partner a fare il proprio mestiere sotto le lenzuola.
IL LIBRO – Quelli che l’importante è durare, quelli che prendono ancora le misure, quelli che il sesso è sopravvalutato, sono altre le cose che tengono insieme una coppia, quelli che si mettono la mano sul fianco e ammiccano di fronte all’obiettivo.
Quelli che scusami ma ti rispetto troppo e quelli che invece non capiscono la parola no, quelli trasandati e quelli perfettini, quelli che dopo non richiamano, quelli che lo vorrebbero fare strano al primo appuntamento, quelli incapaci di cogliere i segnali e infine gli immancabili, classici, stronzi.
L’AUTORE Giulia Blasi è nata a Pordenone nel 1972. Ha pubblicato Sottotitoli per non vedenti in Ragazze che dovresti conoscere, Ultima notte in via Zanetti in La notte dei blogger (entrambi Einaudi Stile Libero, 2004) e Nudo d’uomo con calzino (Einaudi Stile Libero, 2009).
Ha scritto, tra gli altri, per «Marie Claire» e «Grazia». Attualmente collabora con Donnamoderna.com e scrive contenuti per il web. Su Menstyle.it tiene il blog «Me parlare donna un giorno», dedicato alle difficoltà di comunicazione fra i generi.
Il blog dell’autrice www.saitenereunsegreto.com

Per chi ancora è capace di sognare…

Storie di calze a righe
Nella terra di chissàdove e al tempo di mai più, c’era un signore un pò serio e un pò triste… era in mezzo a tanta gente ma si vedeva che in fondo si sentiva solo…

Un bel giorno incontrò una signora con le calze a righe e fin dal primo istante capirono che insieme potevano fare grandi cose, così la signora dalle calze a righe regalò al signore che aveva incontrato sulla sua strada delle calze molto belle uguali alle sue!
Diventarono subito “amici di righe” e si divertivano un mondo insieme… giocavano, ridevano ed erano molto felici.
Un giorno però arrivo il temibile mostro Mangiarighe, feroce e avido di colori rigati… così i due si nascosero in fondo ad un bosco fitto fitto per non essere trovati.Entrambi avevano tanta paura e non volevano lasciare che le loro righe venissero risucchiate dal mostro… non sarebbero più stati così felici. Passò un giorno e un altro e un altro ancora, il pericolo sembrava quasi scampato… ma un pomeriggio assolato la testa grigia del feroce mostro fece capolino all’orizzonte… Sapevano che affrontandolo insieme avrebbero potuto sconfiggerlo, così tenendosi per mano rimasero immobili fino all’arrivo del Mangiarighe.
Era più grande e cattivo di quanto avevano immaginato, guardava le loro calze e perdeva bave appiccicose lungo il cammino… davanti a loro due enormi zampe striate di ogni colore dell’arcobaleno.
Tremarono ma rimasero uniti ripensando al piano che per giorni avevano studiato per affrontare quel brutto mostro. Tolsero in fretta le loro bellissime calze e le legarono insieme. Si misero ai due lati del mostro e presero la rincorsa… giunti alle caviglie del mostro la signora ebbe un ripensamento e s’impaurì. In seguito alla sua esitazione il signore dalle calze a righe mollò la presa e corse su una collina poco distante. La signora invece cominciò a correre ma il mostro attirato dalla fila di calze colorate sventolate nel vento la seguì senza esitazione.
Più lei correva più lui arrivava vicino così presa dal panico lasciò le calze e corse via lontano senza mai voltarsi. Il signore aveva visto tutto ma non scese mai dalla collina.
Il mostro fece una scorpacciata di colori rigati poi se ne andò… lasciando le calze a terra pallide e spente.
La luce entrò nella stanza dapprima flebile poi vigorosa…
un’altra mattina, un’altra alba senza di lui…
In pochi minuti il sole illuminò la stanza, la stessa stanza nella quale condividevano sogni colorati.
La signora pensò di uscire per fare una passeggiata, era triste, aveva perso le sue bellissime calze a righe e ancor peggio l’amore con il quale le condivideva.
Decise di scrivergli all’ombra di un pino, di far recapitare un messaggio sulla collina perchè lui sapesse, perchè capisse che senza di lui non avrebbe mai più indossato quelle calze.
L’aveva rivisto giorni prima, lui era freddo, di ghiaccio, schivo, come quando l’aveva incontrato per la prima volta. Scrisse una lunga lettera di sogni e speranze, la affidò ad un pappagallo dalle piume folte e ambrate che conosceva bene la foresta. Lo accarezzò e gli chiese con voce tremante di volare come non aveva mai fatto prima e portare al signore quella piccola busta.
Attese una risposta… ma non arrivò… così attese ancora… e ancora… e ancora.
Passarono i mesi e un giorno d’inverno, la signora uscì di casa, comprò un nuovo paio di calze a righe… e poi un’altro il giorno seguente e un’altro ancora, ma non le indossava mai… le ripiegava con cura, le riponeva nell’armadio e stava ore davanti alla finestra guardando il bosco e ripensando all’immensa gioia che quell’uomo aveva portato nella sua vita. Collezionava calze aspettando il giorno in cui sarebbero stati ancora felici insieme…
Era arrivata di nuovo primavera, gli alberi in fiore profumavano l’aria e riscaldavano il cuore. Il vento era leggero, una giornata perfetta. La signora sistemò casa poi aprì l’armadio e guardò le calze… erano centinaia ormai… le sarebbero durate tutta la vita e oltre. Ma lei in ogni caso non le avrebbe mai messe.
Mentre scrutava i colori, il cielo si oscurò, divenne buio.
Per un attimo pensò ad una nuvola, o un dirigibile ma in pochi attimi sentì gridare in strada… il mostro era tornato!
Il cuore le salì in gola. Chiuse subito l’armadio e vi spinse contro il letto, cercò di prendere fiato e di non sembrare turbata. Il mostro nel frattempo si era allontanato e si dirigeva verso il bosco.
Lei era felice, finalmente le sue calze erano al sicuro… ma se il signore fosse sulla collina?
E se non si fosse accorto dell’arrivo di Mangiarighe?
Corse più forte che poteva, in mezzo agli alberi e ai cespugli, graffiandosi con i rami, arrivò con parecchio vantaggio sul mostro, che nel frattempo si era fermato a casa di un boscaiolo per depredarlo. Prese fiato e salì sulla collina, piano piano vide nascere una casa …il tetto, le finestre, la porta… era lui! Si era costruito una casetta sulla collina. Arrivò alla porta indecisa sul da farsi, non sapeva se bussare, chiamare… ma alla fine si ricordò del pericolo quindi entrò e basta.
C’era una bella cucina verde, un divano rosso, era ordinata e pulita… ma non c’era nessuno.
Forse dormiva… entrò in camera aprendo piano la porta, il letto era disfatto e una bellissima tenda a righe era appesa davanti alla finestra per non far entrare la luce. Ecco da cosa era stato attirato il mostro!!! Neanche qui trovò il signore… ma vide in un angolo un armadio uguale al suo… la curiosità prese il sopravvento e lo aprì… ciò che trovò dentro fu semplicemente incredibile.
Centinaia e centinaia di calze a righe, nuove di zecca, come le sue. Tanti colori e tante sfumature.
La gioia per quella scoperta fu incontenibile, un sorriso le si allargò sul viso e una lacrima le solcò la guancia. Lo richiuse, decise di fermare il mostro e proteggere quel piccolo tesoro ad ogni costo.
Si voltò e davanti a lei c’era il signore, che la guardava con sospetto. Lei si spaventò, sembrava arrabbiato, non riuscì ad aprire bocca. Lei guardandolo non potè fare a meno di pensare quanto fosse bello e dolce, anche con il viso imbronciato e scuro. Non riuscì a trattenere le sue emozioni e corse ad abbracciarlo. Lui rimase immobile, rigido. Lei non poteva credere di respirare ancora il suo odore.
Si staccò e cercò di spiegare il motivo del suo improvviso arrivo ma mentre parlava si sentivano già pesanti passi dirigersi verso di loro.
Tremarono.
Si guardarono e senza parlare capirono cosa c’era da fare.
Aprirono l’armadio e cominciarono ad annodare le calze come avevano già fatto in passato, questa volta però erano davvero tante.
All’arrivo del mostro una catena di centinaia e centinaia di calze era pronta ad aspettarlo…
questa volta non avrebbero fallito, non potevano, ne erano sicuri entrambi.
Cominciarono a correre giù per la collina e stavolta presero le caviglie del mostro,e continuarono a corrergli intorno fino a quando il Mangiarighe non cadde a terra… era legato come un salame.
Si guardarono. Esplose una risata… piano piano le calze assorbirono i colori che il mostro aveva mangiato e diventarono fluorescenti. Il mostro era senza forze, così lo slegarono e lo assicurarono ad un albero con una corda spessissima.
Entrarono in casa e parlarono parlarono parlarono per due giorni interi.
Quando uscirono di casa si presero per mano e si diedero un dolcissimo bacio.

Era un giorno d’inizio ottobre… fresco e luminoso, lei era in camera… semplicemente raggiante, un sorriso splendido, un bellissimo vestito indosso. Fuori c’era il signore che l’aspettava, con la sua auto scura e gli occhi brillanti. Dietro alla macchina erano attaccate file e file di calze a righe coloratissime con al fondo dei barattoli. Lei scese di corsa caricò le valige e salì in macchina, salutarono tutti e partirono insieme guardando avanti senza voltarsi, felici e colorati, pronti per nuove avventure.

Il calzino


Il primo armadio che si apriva quando volevo, era il comò. Dovevo solo tirare il pomello e dalla serratura l’anta scattava verso di me. Fra tutte le camicie, grembiulini, magliette che vi erano custodite c’era una cosa che trasformava il comò in un’avventura. Dovevo farmi strada fin nell’angolo più riposto; allora incontravo i miei calzini, che se ne stavano l’uno accanto all’altro, arrotolati e rincalzati come si usava un tempo. Ogni paio aveva le sembianze di una piccola borsa. Nessun piacere era più grande dell’immergere la mano quanto più a fondo possibile nel suo interno. Non lo facevo per il tepore. Ad attirarmi verso il fondo era “il regalo” che avevo sempre in mano in quell’interno arrotolato. Quando lo tenevo ben saldo in pugno ed ero certo del possesso della tenera massa lanosa, aveva inizio la seconda fase del gioco che portava alla rivelazione. Ora infatti mi accingevo a estrarre “il regalo” dalla sua borsa lanosa. Lo tiravo sempre più verso di me, sino a quando lo sconcerto era al colmo: avevo estratto “il regalo”, ma “la borsa” in cui era stato custodito non c’era più. Ripetevo di continuo la dimostrazione di questo avvenimento. Mi insegnò che forma e contenuto, custodia e custodito sono la stessa cosa. Mi educò a estrarre la verità dalla poesia con la stessa cautela con cui la mano infantile estraeva il calzino dalla “borsa”.



Walter Benjamin, Infanzia berlinese intorno al millenovecento, traduzione di Enrico Ganni
Ripiego ancora i calzini così, “come si usava un tempo”. Uso questo brano quando mi chiedono un pezzo da recitare , e ho pensato di includerlo nella cose che volevo scrivere oggi; e poi mi sono chiesto se questo ha a che fare con il concetto di compattezza, se c’è la paura – in me – che estraendo il cuore della questione, nel volerlo “vedere”, no no no, aspetta, diciamo le cose come stanno: se nel mettere a nudo il mio cuore io possa perdere la forma.
Di recente ho considerato che la strada che stavo percorrendo mi indeboliva, e l’ho cambiata. Il fatto è che il cuore e la strada, il mio cuore e la strada, sembrano essere tutt’uno come quel calzino, anzi quel paio di calzini. E’ come se la strada la potessi trovare solo nel cuore. Ma non in quei modi sdolcinati alla Tamaro, please! Non è quello che voglio dire, e probabilmente neanche quello che vuol dire Castaneda, o chi lo cita.
Sto pensando sì; solo in pochi estatici momenti riesco a smettere di pensare, e non durano più di un secondo. Ma immagino che un giorno le partiture più complesse saranno affrontabili e l’assenza di pensiero concederà all’essere più respiro. Anelo le pause nella musica, per l’attesa del suono di cui si riempiono, e per la pace di quell’attesa che si sa sempre soddisfatta